TRADIZIONE E TRADIZIONI

d. Emilio Gandolfo

La tradizione nella chiesa è ciò che gli apostoli hanno ricevuto dal Signore Gesù e, come attraverso una catena ininterrotta, lo hanno trasmesso di generazione in generazione. Essi hanno trasmesso le parole e le cose che il Signore consegnò loro direttamente. Nella prima lettera ai Corinzi, che risaie a vent'anni dalla morte e risurrezione dei Signore, circa la celebrazione dell'eucaristia, l'apostolo Paolo scrive: "lo ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito prese il pane....... In che modo Paolo ha ricevuto dal Signore quello che a sua volta trasmette ai Corinzi e a noi? Non con una rivelazione diretta, ma mediante una tradizione risalente al Signore. Alla fine della medesima lettera egli riprende il concetto di tradizione a proposito della risurrezione dei Signore: "Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno...

Gli apostoli, trasmettendo ciò che essi stessi hanno ricevuto, ammoniscono i fedeli di conservare le tradizioni che hanno appreso sia a voce sia per lettera. Essi hanno trasmesso sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca, dal vivere insieme e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano appreso per suggerimento dello Spirito santo, Ciò che gli apostoli hanno trasmesso comprende tutto ciò che contribuisce alla vita e alla fede dei popolo di Dio. "Così la chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede".

Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, non è solo un tesoro che la chiesa deve conservare integro e trasmettere fedelmente; ma questa tradizione - precisa il documento conciliare - "progredisce sotto l'assistenza dello Spirito santo che ha il compito di guidarla alla verità tutta intera: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce con la riflessione e io studio dei credenti i quali, sull'esempio di Maria, le meditano in cuor loro".

Quando Gesù disse ai primi discepoli: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura , non intendeva certo che essi si limitassero a ripetere le sue parole, ma che, cresciuti alla sua scuola e guidati dallo Spirito, insegnassero agli altri ciò che essi avevano appreso da lui. Egli rimane l'unico maestro e tutti gli altri sono discepoli. Così quando disse nell'ultima cena: "Fate questo in memoria di me", non intendeva che si ripetesse semplicemente un rito, ma che prima di tutto si penetrasse nei suoi stessi sentimenti per prolungare nei secoli il convito nuziale dei suo amore fino al suo ritorno.

La tradizione quindi che risale a Gesù non è ripetizione di parole e di gesti, ma è "trasmissione" di vita. E' per noi attingere incessantemente con gioia alle sorgenti della salvezza, coltivando un rapporto vivo e personale con il Signore Gesù. Le parole dei Signore e ì gesti dei Signore non sono mai privi dei suo Spirito. Gesù afferma: " E' lo Spirito che dà la vita. Le parole che vi ho dette sono Spirito e vita". Paolo dirà: "La lettera uccide, lo Spirito dà vita"," e aggiunge: "Dove c'è lo Spirito dei Signore c'è libertà". E' fin troppo evidente che l'insegnamento di Gesù e il suo stile di vita è nettamente contrario all'atteggiamento farisaico, che è pura fedeltà alla lettera. I farisei, che credono di essere esauditi a forza di parole, si limitano a ripetere delle parole e ad osservare dei riti- perciò meritano il rimprovero dei Signore ripreso dal profeta Isaia. Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini." Il comandamento di Dio è l'amore; senza amore nulla vale. La pura osservanza esteriore, la ripetizione di riti e l'attaccamento superstizioso al tempio, non sono la ricerca di Dio, ma la ricerca di sicurezze umane. Contro il culto esteriore il Signore tuona per bocca dei profeta Amos:

lo detesto, respingo le vostre feste

e non gradisco le vostre riunioni;

anche se voi mi offrite olocausti,

io non gradisco i vostri doni.

Lontano da me il frastuono dei tuoi canti;

il suono delle tue arpe non posso sentirlo."

Anche i pellegrinaggi possono ridursi a pie illusioni. Se non è per cercare Dio, che giova recarsi in pellegrinaggio ai santuari di Betel, di Galgala e di Bersabea? Perciò il Signore per bocca dei profeta dice alla casa d'Israele:

Cercate me e vivrete!

Non rivolgetevi a Betel,

non andate a Galgala,

non passate a Bersabea...

Cercate il Signore e vivrete.

"Cercate il Signore", questa è la fede. Le tradizioni sono come le buone abitudini che facilitano la vita, perché non costringono a ricominciare sempre da capo: ciò richiederebbe eccessivo dispendio di energie. Seguendo invece le tradizioni, le nostre azioni e i nostri comportamenti trovano come un alveo sicuro, dei binari precisi, cioè delle regole alle quali spontaneamente ci si adegua, realizzando così senza scosse un processo vitale di crescita. Le tradizioni rappresentano la continuità della vita con i suoi autentici valori. Ciò vuoi dire che i padri possono trasmettere ai figli, e ai figli dei figli, un patrimonio di idee e di valori che alimentano la tradizione di una famiglia e di un paese.

E veniamo alle tradizioni religiose di un paese come Vernazza. Benché coperto, il torrente Vernazzola attraversa il paese e arriva al mare. Arriva al mare portando con sé non soltanto l'acqua limpida della sorgente, ma anche piogge stagionali che ingrossano ano la corrente. In più, nel suo corso il torrente incontra degli ostacoli: frane, rami d'albero e tutto ciò che contro la legge e il buon costume riceve. Così anche la tradizione religiosa, nel suo corso riceve elementi che ne intorbidano la corrente o ne ristagnano il flusso. Perciò la tradizione religiosa ha bisogno di continuo rinnovamento spirituale e di nuovi apporti, per non diventare pura ripetizione di parole o di gesti che via via diventano logori e privi di senso. E dobbiamo anche riconoscere che se lungo il cammino viene meno il fervore delle origini, di certe tradizioni si perde il contenuto e si conserva soltanto la forma esteriore. Vogliamo fare un esempio? La famosa processione dei Cristo morto quest'anno si è svolta secondo le regole della migliore tradizione religiosa di Vernazza. Bisogna darne atto soprattutto ai giovani che, - anche se non sono usciti allo scoperto perché incappucciati - tuttavia hanno fatto dei loro meglio. Ma è pensabile che gli avi che vollero onorare cosi solennemente il Cristo morto, non festeggiassero ancor più solennemente il Cristo risorto? E festeggiare il Cristo risorto per loro voleva dire risorgere con lui a vita nuova. "Far Pasqua" aveva per loro un senso ben preciso, esteriore sì, ma innanzitutto interiore; fino a inventare un proverbio significativo: per dire che uno era molto contento, si diceva che era contento "come una Pasqua". Sì, la tradizione è come un binario che traccia un cammino e consente la continuità; ma la continuità ha bisogno di novità, ha bisogno di sangue nuovo, ha bisogno di essere continuamente riscoperta nel suo vero significato e "interiorizzata", ha bisogno di essere continuamente alimentata dall'acqua limpida della Sorgente. Un'immagine ancor più suggestiva Vernazza ce l'offre con i suoi vigneti. La vendemmia è certo una fatica, ma una gioiosa fatica per chi raccoglie il frutto dei proprio lavoro. Dopo la vendemmia, in autunno regolarmente le foglie cadono. E perché la vite produca un frutto migliore occorre la potatura; e bisogna intervenire con zolfo e verderame per difenderla dai parassiti. Cosi la vite rifiorisce e ricompaiono i grappoli che annunciano una nuova vendemmia. Forse che la tradizione richiede minor cura e non riserva sorprese? Anche qui le foglie secche cadono e bisogna preparare nuovi germogli. L'animo umano non richiede minor cura di quanta ne richiedono i campi. E in ordine alla tradizione religiosa, non si può prescindere dalla pratica religiosa e in particolare dalla frequenza domenicale, che praticamente è rimasta l'unica occasione per alimentare la fede senza cadere nel ritualismo. "Giorno dei Signore", la domenica è il giorno in cui la chiesa, per una tradizione che trae origine dallo stesso giorno della risurrezione, celebra attraverso i secoli il mistero pasquale di Cristo, sorgente e causa di salvezza per l'uomo. Chi si lamenta perché le belle tradizioni dei passato sono scomparse, perché non si vedono più le belle funzioni e le belle processioni d'un tempo, è in genere così tenacemente ancorato al passato come se il tempo non fosse passato con tutti i cambiamenti positivi e negativi che porta con sé; e forse non si chiede che cosa ha fatto lui perché il passato avesse un futuro, perché alla continuità non mancasse la novità; preferisce stare a vedere riservandosi la facile soddisfazione di criticare ciò che non si fa o non va, in nome della tradizione di cui egli si ritiene custode e garante. Ma si può identificare la tradizione coi passato e rifiutare il cambiamento che fa parte della vita? Non si tratta, certo, di accettare il cambiamento con l'aria sorniona dei Gattopardo, che era disposto ad accettare che cambiasse qualcosa perché tutto rimanesse come prima. Accettare il cambiamento è accettare il proprio tempo, è accettare il presente e disporsi al futuro. Certo, non tutto ciò che è vero ed è bello, come non tutto il passato era valido e vitale. Si riaffaccia l'immagine delle foglie secche che cadono e delle gemme che spuntano. San Paolo ci offre un prezioso criterio di discernimento, proprio nella sua prima lettera ai Tessalonicesi, ritenuta il primo scritto dei Nuovo Testamento. Egli dice: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono". Non spegnete lo Spirito, è la prima condizione per essere fedeli a Dio e agli uomini; non secondo la lettera che uccide, ma secondo lo Spirito che dà vita. Non disprezzare le profezie, significa saper leggere i segni dei tempi alla luce dei Vangelo per conoscere quello che Dio vuole da noi oggi. Esaminare ogni cosa significa non aver paura di ciò che è nuovo e diverso- non accettare il nuovo perché è nuovo, ma esaminare ogni cosa con quel discernimento che è dono dello Spirito: e non buttar via, ma tenere, cioè conservare e rinvigorire, ciò che è buono.

Mi piace concludere questa riflessione con due citazioni. La prima risale al Medioevo - nell'epoca in cui sorse la splendida chiesa di Vernazza - ed esprime la convinzione che il futuro ha le radici nel passato, che la tradizione è continuità di vita e tutti siamo legati a un medesimo destino: "Noi siamo nani su spalle di giganti. Siamo più piccoli, ma vediamo più di loro". L'altra citazione è il salmo 92, che ha come titolo- "il cantico dei giusto". A differenza dell'empio che è come l'erba dei campi rigogliosa ma effimera, il giusto si erge verso il cielo, solido e maestoso come la palma e il cedro dei Libano. Il suo vertice aspia all'infinito, la sua base è ancorata all'eterno, l'esistenza sua si perde nel divino. E' un incoraggiamento e un augurio ai più giovani e ai meno giovani. Son cose che io ho "ruminato" a lungo dentro di me, e che mi piace farne parte ai miei fratelli, nella speranza che - condivise o meno - possano diventare utile spunto di riflessione per tutti. Ho scelto come data la Pentecoste, perché in questo giorno la Chiesa iniziò il suo cammino nella storia degli uomini, e perché anch'io in questo giorno fui consacrato al servizio dei Vangelo.

Il giusto crescerà come una palma

si eleverà come cedro dei Libano

piantato nella dimora dei Signore

fiorirà alla presenza dei nostro Dio

Nella vecchiaia porta ancora il suo frutto

resta sempre fecondo e verdeggiante

per annunciare: "il Signore è fedele

in lui, mia roccia, non c'è ingiustizia!"

Vernazza, Pentecoste 1996

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